mercoledì 4 giugno 2008

Jovanotti - Safari


Ossessivamente Jovanotti.
E’ proprio il caso di dirlo: alla fine di 4 o 5 ascolti consecutivi del disco si esce un po’ rintontiti. Sembra proprio impossibile per Lorenzo Cherubini non creare ritornelli che si ripetano per almeno 10 volte all’interno di una canzone. Trova una formula, una iniziale frase, e la ripete per tutto il brano parlando poi di quello che desidera usando però sempre l’espediente del ritorno di quella frase.

Jovanotti non lascia respiro, è così dall’inizio alla fine: “Mezzogiorno” (”siamo come il sole a mezzogiorno, babeee”), “Dove ho visto te” (ripetuto 40 volte), “In Orbita” (”che ci tiene in orbita, ci tiene in orbita, ci tiene in orbita…”), “Safari” (”safari, dentro la mia testa, ci son più bestie che nella foresta”), “Punto” (la peggiore, sia per quanto riguarda l’ossessività, sia riguardo la sua bruttezza), “Antidoloricomagnifico” (”è un antidolorifico magnifico, magnifico, è un antidolorifico….”.

L’ossessività testuale è rafforzata da quella dei riff e dei loops, che qui hanno sempre un costante incedere, con varianti studiate e programmate ad hoc qua e là per il pezzo. Tutto ritorna, tutto si infila, tutto ha una precisa eco, e alla fine ogni canzone sembra essere un 4-5 minuti di pura tortura. Ti rende stupido.

Per i lenti va meglio, anche se in brani non da buttare come “A te”, “Innamorato”, “Come Musica”, sembra prevalere comunque l’ingenuità del ritornello facile, delle parole da far rimanere incollate allo spettatore a tutti i costi. Tutto puzza di tremendamente preparato come in una scatoletta sottovuoto.

Il grande lavoro fatto per fare un disco che abbia un sound internazionale, compatto e ben definito (i contributi di Ben Harper, Sergio Mendes e così via ne danno il senso solo in superficie), ha risultato così essere dannoso, dando a “Safari” un’aria di monotonia e pesantezza rare. Forse perché troppo concentrati ad unire i pezzi e a compattarli, per non lasciare davvero ‘ingegno libero di volare. Presi singolarmente i pezzi sono meno “trash” di roba come “Coraggio” o “Mani In Alto” appartenenti al precedente “Buon Sangue”, ma nel complesso non ha brani di punta come poteva essere “Mi Fido Di te”. Insomma, “Safari” è un indubbio passo indietro rispetto al precedente disco, seppure ha insito l’arrivo di Jovanotti allo stato di coscienza che - con la sua esperienza e con le cose buone fatte vedere sporadicamente qua e là nella sua enorme carriera - è arrivata l’ora di giocare nel terreno internazionale in termini di suoni e caratura dei pezzi.

Una sprovincializzazione proseguita anche con questo “Safari” che, chissà, potrà avere successo a livello critico all’estero, mentre qui risulta come un fastidioso ripetersi di motivetti e contenuti spiccioli. Una maturazione che sta andando avanti ma che non ha evidentemente avuto i contesti giusti per poter davvero essere canalizzata per essere realizzata sapientemente. Oppure, semplicemente, il buon Jova non aveva l’ispirazione giusta.